Tu chiamale se vuoi… Emozioni

Tu chiamale se vuoi… Emozioni

Tu chiamale se vuoi… Emozioni

Seguir con gli occhi un airone sopra un fiume e poi, ritrovarsi a volare…
Capire tu non puoi… tu chiamale, se vuoi, Emozioni.

L. Battisti

Cosa sarebbe la vita senza emozioni? Se ci pensiamo bene noi viviamo per emozionarci ed evochiamo emozioni in ogni cosa che facciamo, ognuno a modo proprio. Viviamo emozioni attraverso il cibo, il buon vino, la musica, l’arte, il primo appuntamento, un volo in bungee jumping, la nascita di un figlio, vederlo crescere, una competizione sportiva, la velocità, la contemplazione, la fede, una vittoria, una sconfitta, un abbraccio, un addio, un film, un progetto realizzato, una delusione amorosa o un fiore che sboccia nel nostro giardino, e potrei continuare all’infinito perché in ogni cosa che fa parte della nostra vita c’è emozione. L’emozione stessa è sinonimo di vita e laddove non c’è emozione non c’è vita, perché la vita è movimento e non può sussistere nella staticità.

Le emozioni sono pertanto indispensabili alla vita e giocano un ruolo fondamentale nella biologia degli esseri viventi. Nel corso dell’evoluzione le emozioni si sono rivelate essenziali proprio per la loro funzione di mediatore e catalizzatore delle nostre reazioni, in particolare nelle situazioni che richiedevano risposte immediate ai fini della sopravvivenza delle specie.

E’ probabile che questo spieghi il perché gli esseri umani di tutto il mondo, come già Darwin osservò, manifestano espressioni facciali comuni per riflettere determinate emozioni, alcune delle quali sono condivise anche tra gli animali. Un lupo che scopre le zanne, per esempio, utilizza gli stessi muscoli facciali di un essere umano che si sente in collera o minacciato, come se la stessa fisiologia di base delle emozioni si fosse tramandata e sia stata usata all’infinito nel corso di ere di evoluzione della specie.
La gazzella che si sveglia ogni mattina in Africa sapendo di dover correre più forte del leone per non essere uccisa e il leone che svegliandosi, sa di dover correre più della gazzella per non morire di fame, sono motivati entrambi da un’emozione ancestrale, la paura, che è governata da una porzione del cervello che gestisce le emozioni e in particolare proprio la paura, l’amigdala, la quale valuta in tempi brevissimi gli stimoli che possono essere pericolosi per la sopravvivenza, reagisce istantaneamente e predispone tutto il corpo alla migliore reazione possibile: invia segnali di allarme in altre parti del cervello stimolando diversi distretti del corpo tra cui il sistema endocrino per rilasciare ormoni utili alla reazione di lotta o fuga, il sistema cardiovascolare perché pompi più sangue e i muscoli per potenziare l’attività motoria.
Questo semplice esempio mostra chiaramente a cosa serve un’emozione. L’emozione, in questo caso la paura, è l’input che mette l’individuo in contatto con la realtà, che gli permette di entrare in relazione con una situazione ambientale specifica, nella fattispecie la necessità di difendersi della gazzella o di nutrirsi del leone e questa necessità può spingere l’individuo verso un cambiamento, una modificazione psico-fisica orientata al raggiungimento di un risultato utile: correre per sopravvivere!!
Rimaniamo ancora per un momento sul concetto di necessità, o meglio, di necessità biologica, e immaginiamo una scena, che ipoteticamente si ripeta ogni giorno, in cui un ricco proprietario terriero stia sorseggiando il suo thè all’ombra del patio della sua villa, mentre il suo mezzadro, nel campo, impugna strettamente una zappa e rigira le zolle di terra sotto il sole cocente. Se potessimo visualizzare le mani di entrambi potremmo osservare che, molto probabilmente, il riccone avrà mani bianche, lisce e morbide, con la pelle sottile come quella di un bambino, mentre il contadino, a furia di premere e sfregare le dita contro il legno dell’attrezzo, avrà mani callose e ruvide, dalla pelle ispessita e imbrunita dal sole. Come mai? Semplicemente perché la pelle del contadino ha risposto alla necessità biologica di protezione attraverso un cambiamento fisico, la produzione dei calli, cioè l’inspessimento dello strato corneo dell’epidermide per impedire alla pelle di lacerarsi, ed anche la produzione di melanina per proteggerla dall’azione nociva dei raggi ultravioletti.
Senza voler esprimere qualsiasi giudizio di merito sulla situazione appena descritta, del tipo cosa sia socialmente giusto o sbagliato, esteticamente bello o brutto e così via, che ci svierebbe solamente dal nostro focus, concentriamoci invece sul senso biologico delle reazioni fisiologiche dell’organismo. La mano del contadino ha prodotto un sintomo, la callosità e lo ha fatto per rispondere ad una necessità biologica, quella di aumentare l’efficienza pur di fronte ad un evento usurante come lo sfregamento sul manico della zappa; la mano del proprietario, invece, non ha avuto questa necessità ed ha potuto esprimere al meglio la sua richiesta di funzione, quella di sollevare la tazzina di thè, anche con una pelle liscia e sottile.
Tutto ciò dimostra come la Natura sia finalizzata alla conservazione degli esseri viventi, o meglio ancora, dovremmo dire che la Natura è governata da leggi e principi biologici tali da mettere in atto sempre la migliore strategia per reagire agli eventi con una modalità che ci permetta di trovare il benessere, cioè di esprimere al massimo il nostro potenziale biologico, il che è molto più che sopravvivere!
Ora, fin qui sono emersi due elementi che sono intimamente connessi l’uno con l’altro e che meritano un approfondimento. Il primo è che le emozioni rappresentano una sorta di ponte di collegamento tra la parte più sottile e profonda di noi e la realtà che ci circonda, la seconda, è che questa connessione può innescare  un cambiamento, cioè attivare una serie di reazioni specifiche e biologicamente codificate che conducono all’ottenimento di un preciso risultato: permetterci di affrontare con successo le situazioni conflittuali, i pericoli, gli ostacoli, gli impedimenti che percepiamo attraverso gli eventi che ci propone l’ambiente in cui viviamo.
Se la necessità biologica di protezione, anziché essere quella di difendersi da un fattore fisico come lo sfregamento sul legno, fosse invece di proteggersi dall’aggressione verbale di un familiare o un collega di lavoro durante un litigio, anche in questo caso la risposta a tale necessità potrebbe esprimersi con una reazione fisica, emozionalmente codificata, per esempio attraverso la proliferazione delle cellule intestinali per aumentare e migliorare l’assorbimento del cibo, al fine di digerire quel “boccone amaro”. In questo contesto, invece di un callo, il corpo svilupperebbe un adenocarcinoma duodenale, un esito considerato concettualmente più grave, ma questo non sarebbe molto diverso, in termini di senso biologico, dalla genesi della callosità descritta prima.
Sebbene l’impatto sugli schemi diagnostici convenzionali ed anche sul vissuto individuale di un callo rispetto ad un tumore intestinale è notevolmente differente, non lo è biologicamente. Se consideriamo solo il puro aspetto fisiologico dei due processi, senza alcun tipo di credenza o giudizio mentale, il significato di entrambi è assolutamente identico!
Questo ci fa giungere ad una ulteriore considerazione: la Natura, che è regolata da principi biologici di efficienza e ottimizzazione, che hanno l’obiettivo di assicurare sempre il massimo rendimento con il minimo sforzo, si impegna in processi di costruzione (anabolismo o sintesi di molecole organiche), che pertanto richiedono un dispendio energetico, solo quando è strettamente necessario da un punto di vista della richiesta biologica e così pure non trattiene in sé nessuna struttura organica o formazione cellulare, il cui nutrimento e mantenimento richiederebbe ulteriore impegno energetico, più di quanto sia strettamente necessario. Finita la funzione biologica, il corpo se ne libera fisiologicamente, senza indugio alcuno, attraverso espressioni diverse di riduzione cellulare.
Se il contadino dalle mani callose diventasse improvvisamente ricco e smettesse di zappare la terra, senza nessun dubbio in un paio di mesi la pelle delle sue mani potrebbe assottigliarsi e recuperare buona parte della sua morbidezza. Cosa pensate allora che potrebbe succedere alla persona che cerca disperatamente di digerire bocconi amari attraverso il suo tumore al duodeno, nel momento in cui riuscisse a guardare il mondo in modo diverso e comprendesse che il problema non è il fratello o il collega con il quale ha litigato, ma è la sua reazione emozionale che è dissonante, ovvero il suo modo di porsi in quella situazione non è in linea con la sua esclusiva e personalissima modalità di reagire agli eventi, cioè con il suo Codice Biologico Emozionale®, che gli permetterebbe di esprimere il suo massimo potenziale?
Molto spesso siamo talmente focalizzati sul problema, o ci sentiamo totalmente vittime di esso, da non riuscire a vederne la soluzione, che per altro sarebbe lì davanti ai nostri occhi, essendo nient’altro che il problema stesso, ma invertito di polarità, lo stesso contenuto, ma di segno opposto, e così non ci permettiamo di vivere al meglio il nostro potenziale, blocchiamo inconsciamente quei processi che ci porterebbero spontaneamente e rapidamente alla soluzione, quindi al benessere, e rimaniamo incastrati in un loop di sintomi psico-fisici e di recidive.
Sulla base di queste osservazioni sperimentali è nata una nuova scienza, la Medicina Biologica Emozionale®, che si propone di comprendere e spiegare l’origine profonda della malattia, il suo reale primum movens, attraverso una visione integrale dell’essere umano nel suo ambiente e soprattutto di aiutare le persone a consapevolizzare pienamente il proprio potenziale evolutivo, dal quale deriva la guarigione di sé, attraverso strumenti terapeutici quali l’Attivazione Biologica Emozionale® e la Ginnastica Biologica Emozionale®.
Che gli apparati biologici che costituiscono l’essere umano siano costantemente connessi e comunicanti come in un unico sistema integrato e non separato in più parti, è un’acquisizione scientifica che ha almeno una ventina d’anni e che è stata sdoganata dalla PNEI, la Psico-Neuro-Endocrino-Immunologia, un modello scientifico di conoscenza del funzionamento del corpo umano nella sua totalità. Il sistema uomo è una comunità cellulare fatta di 50.000 miliardi di cellule che si comporta come un vero e proprio network biologico, cioè una rete di comunicazione altamente definita ed integrata in cui il cervello, il sistema nervoso e gli apparati deputati al controllo funzionale, quali il sistema endocrino e quello immunitario, si scambiano continuamente informazioni.
Oltre a ciò, se consideriamo le rivoluzionarie acquisizioni fatte dalla fisica quantistica, comprendiamo che questo sistema uomo, già così complesso, è immerso in un più vasto e sottile meccanismo intelligente, un campo energetico informazionale universale, che include anche la nostra mente, il quale reagisce sulla base di impulsi elettromagnetici e scambia continuamente informazioni con esso.
Perché avvenga questo scambio di informazioni, di bit di energia immateriale, tra la rete “esterna” e la rete biologica del nostro corpo fisico, sono necessari degli strumenti di comunicazione che fungano da veicolo biologico per le informazioni stesse.
Le ricerche degli ultimi decenni hanno dimostrato che esiste una vasta gamma di sostanze chimiche prodotte dall’organismo umano, che sono di base dei peptidi, cioè delle piccole proteine, con i loro recettori, che costituiscono la base biologica delle emozioni. I primi ad essere stati scoperti sono infatti i neuropeptidi, che si trovano dovunque nel cervello, dall’ipotalamo alla corteccia cerebrale, fino al sistema limbico, che è scientificamente riconosciuto proprio come il cervello emozionale. I peptidi, tuttavia, non si trovano solo a livello cerebrale, ma in tutti i distretti corporei perché lo scambio di informazioni avviene con la totalità delle cellule del corpo e non solo con il cervello, in una completa e simultanea condivisione.

Tutte queste molecole sono state chiamate, fin dal 1984, sostanze informazionali per sottolineare la loro funzione comune di molecole messaggeri, cioè di sostanze incaricate di distribuire le informazioni in tutto l’organismo. Ogni peptide emette un segnale-firma specifico, che si lega ad un recettore specifico e che viene modulato in base al tipo di messaggio che può essere trasferito a quella cellula in quel preciso momento, in pratica, in base alla sua capacità ricettiva.
Le informazioni veicolate da questi sistemi messaggeri basati sui peptidi sono in grado di innescare reazioni chimiche, attivare e disattivare funzioni cellulari o addirittura espressioni geniche, come dimostrato dai più recenti studi scientifici, e potremmo immaginarle come tante spie luminose puntiformi che si accendono e si spengono a intermittenza, emergendo da un pannello di controllo che gestisce tutto il nostro corpo. Il contenuto informazionale dei peptidi non sono altro che le emozioni.
Per capirne il senso possiamo paragonare noi stessi alle pagine di un libro in cui l’inchiostro che fissa le parole sul foglio stampato rappresenta i peptidi, in quanto veicolo fisico del messaggio, mentre il contenuto delle parole stesse, ovvero l’informazione che ne esprime il significato, sono di fatto le emozioni.

Le emozioni sono quindi i segnali cellulari coinvolti nel processo di traduzione delle informazioni della mente in una realtà fisica materiale. Esse sono il linguaggio immateriale che influenza profondamente il modo in cui l’essere umano reagisce e percepisce il mondo e, attraverso il veicolo della sintassi amminoacidica, possono avere anche una manifestazione organica nei peptidi, vere e proprie molecole di emozioni.

Le emozioni nascono nel punto di congiunzione fra la mente e la materia, passando dall’una all’altra in entrambi i sensi e influenzandole entrambe. Sono proprio le emozioni che collegano inseparabilmente mente e corpo e permettono a quell’intelligenza intrinseca dell’unità corpo/mente, data dalla somma delle intelligenze di tutte le cellule e dei loro microcosmi interconnessi, che a volte viene chiamato il nostro guaritore interno, di portarci naturalmente verso l’equilibrio e il benessere.
Un capitolo importate della fisiologia delle emozioni è legato al tema delle memorie cellulari. Siamo culturalmente portati a pensare che i ricordi, le memorie appunto, siano immagazzinati e custoditi soltanto in una qualche area del nostro cervello e sarebbe decisamente inconsueto pensare che possano essere contenuti in altri tessuti al di fuori delle strutture cerebrali. In realtà le memorie risiedono in tutte le cellule del nostro corpo e più precisamente nelle membrane cellulari, che per analogia funzionale potremmo paragonare al cervello della cellula stessa. Le memorie sono così distribuite lungo tutti i percorsi che conducono agli organi interni, fino alla superficie stessa della nostra pelle e quivi vengono continuamente scritte e sovrascritte con nuove informazioni, man mano che queste ultime vengono acquisite.
Il fatto che un ricordo sia codificato dal cervello e quindi diventi un pensiero emergente a livello di coscienza, piuttosto che resti immagazzinato nei recettori delle membrane cellulari, è dovuto al fatto che i processi di memorizzazione sono inconsapevoli e vengono regolati e stimolati proprio dalle emozioni.
Per questo motivo le emozioni sono una vera e propria chiave di lettura di ciò che da inconscio diventa conscio, da immateriale diventa materiale.
Ogni volta che viviamo uno stato emotivo attiviamo e memorizziamo degli specifici circuiti neuronali contemporaneamente in un’area del cervello e nell’organo a cui essa è correlata, secondo uno schema anatomico ben preciso. Questi circuiti stimolano un comportamento e producono tutti i cambiamenti corporei che il comportamento stesso richiede, da quelli macroscopici fino alle più minute reazioni chimiche, all’interno degli organi e dei tessuti, che sono previste da quella specifica attivazione neuronale. La paura per esempio produrrà una variazione delle pulsazioni cardiache, l’aumento della sudorazione, l’accelerazione del ritmo respiratorio e l’aumento della tensione muscolare che, come abbiamo già visto, predispongono il corpo a rispondere alla necessità biologica di lottare o fuggire.
Analogamente, un’emozione che rimanga intrappolata nei nostri tessuti e organi perché non utilizzata in modo appropriato, potrebbe determinare altre risposte biologiche che, come abbiamo visto, possono esprimersi con una iper-proliferazione cellulare come un tumore, ma anche con una polmonite o una ipertensione arteriosa e così via, tutte manifestazioni che fanno parte di precisi programmi biologici sensati della Natura e che utilizzano, per la loro sussistenza, l’energia prodotta in eccesso, quindi energia bloccata e distruttiva, che alimenta e mantiene un sistema ridondante, almeno finché questo blocco non sarà rimosso attraverso il ripristino dell’equilibrio emozionale.
Possiamo affermare con certezza che le emozioni sono la chiave di volta nella genesi della cosiddetta malattia, tanto quanto lo sono nel percorso di consapevolizzazione che ci può portare verso il benessere psico-fisico.
Pensare alla malattia come a un errore da correggere è una grave inesattezza.
La Natura non va corretta, ma va utilizzata. Questo significa imparare a non ostacolare i processi biologici che procedono già spontaneamente verso un percorso di benessere.
Se diventiamo consapevoli della capacità potenziale di intervenire sul nostro stesso organismo, possiamo assumere un ruolo più attivo nella nostra guarigione. Saremo più responsabili nel creare la nostra salute, come protagonisti dinamici e non come una macchina priva di identità, che aspetta di essere riparata dal meccanico perché non ha coscienza di sé. Questo è l’atteggiamento che molti di noi assumono quando vanno dal medico e consegnano nelle sue mani la propria vita e la propria malattia chiedendogli di guarirla, deresponsabilizzandosi e delegando in toto al professionista della salute il compito di decidere quali forme di intervento siano più efficaci per combattere la guerra e aprire il fuoco contro la malattia.
Quale cecità! Riprendiamoci le nostre vite e proviamo a comprendere il vero senso delle cose. Scopriremo di avere già tutti gli strumenti che ci servono per una vita migliore:
un professore in medicina di fama mondiale con l’intera agenda degli appuntamenti prenotata a nostro nome 24 ore su 24, che si chiama Guaritore Interno,
la più grande farmacia a produzione propria mai esistita dove vengono sintetizzati i principi attivi più sofisticati e privi di effetti collaterali, con varie sedi dislocate nei nostri organi e tessuti,
un navigatore satellitare di ultima generazione con le mappe sempre aggiornate che evidenzia sempre qual è il percorso più utile e più breve da percorrere, attraverso le nostre emozioni.
La Natura ha già predisposto tutto con ordine e precisione. Il nostro limite potrebbe essere solo quello di non credere in noi stessi e nel nostro potenziale di guarigione, oppure di non riuscire a vedere da soli qual è l’impedimento che ci blocca in una determinata situazione sfavorevole e non ci permette di prendere il volo. In questo caso quello che manca potrebbe essere semplicemente l’aiuto di qualcuno che si comporti come uno specchio, cioè rifletta, davanti a noi, la nostra vera immagine, il nostro intero potenziale e ci mostri dov’è quel sassolino che grippa momentaneamente i nostri ingranaggi, permettendoci così di agire per rimuoverlo.
Siamo di fronte a un cambiamento epocale che non può lasciarci indifferenti. Le nuove frontiere della scienza e della medicina ci indicano che i tempi sono maturi perché ognuno esca dal torpore che lo ha mantenuto fin qui in uno stato di dipendenza dal sistema costituito e di incertezza dei risultati e delle aspettative, per riprendere possesso della propria vita e della propria salute, con la volontà di mettersi in gioco e di utilizzare tutti i meravigliosi strumenti di cui la Natura ci ha dotati e che molti di noi hanno fino ad oggi ignorato o considerato degli inutili optional.

a cura dell’Accademia di Medicina Biologica Emozionale
Dr.ssa Rita Belforti – Comitato scientifico MBE