il più sacro di tutti i libri, il corpo umano, il libro di carne di cui siamo fatti…
Mischiare la biologia con la mistica potrebbe sembrare a qualcuno una insolita e singolare forzatura, ma qui partiamo dalla convinzione che la rivelazione mistica sia la massima espressione del progetto divino, un progetto olistico che include tutti i piani dell’essere, da quello più materiale fino alla spiritualità in senso ‘pneumatico’. In questo contesto, la biologia umana è una delle componenti del Progetto, ma soprattutto è l’incarnazione dei suoi archetipi, cioè dei modelli primordiali della creazione.
di Rita Belforti, Comitato Scientifico Medicina Biologica Emozionale
Quando un raggio di luce attraversa una goccia di rugiada, avviene una cosa tanto semplice quanto straordinaria: la luce bianca incide sulla superficie della goccia entrando e poi uscendo da essa e subisce una doppia rifrazione che la scompone in una serie di raggi di diverso colore, le sette frequenze visibili dell’iride che formano lo spettro della luce. Nasce così un arcobaleno.
Sebbene i colori fossero già tutti nel raggio di luce, non si sarebbero mostrati se una piccola goccia d’acqua non fosse stata attraversata dal raggio, deviando con la propria struttura la direzione della radiazione elettromagnetica, permettendole così di rendere osservabili quelle parti di sé, i colori, che prima erano indifferenziati e potevano essere, al più, immaginati.
Se invece della goccia d’acqua il fascio di luce avesse colpito uno specchio, esso non avrebbe potuto penetrarlo, ma sarebbe rimbalzato sulla sua superficie venendo poi deviato nella direzione opposta a quella di provenienza. È il fenomeno della riflessione, nel quale l’interazione tra la luce e il mezzo è limitata alla sua superficie, senza nessuna elaborazione interna.
Non è mia intenzione esporre una lezione di ottica geometrica, ma il confronto tra i diversi comportamenti del raggio che colpisce materiali differenti mi ha suggerito alcune interessanti similitudini con gli effetti dell’interazione tra l’essere umano e l’ambiente, un rapporto precoce che inizia già nel momento in cui l’uovo fecondato si appresta ad intraprendere la sua avventura nel mondo fisico.
Dal momento del concepimento fino alla formazione del feto nel ventre materno, le cellule del nuovo individuo si moltiplicano, si orientano e si organizzano secondo un preciso progetto di sviluppo embriologico. Allo stadio di gastrula l’embrione presenta i foglietti embrionali primari ben sistemati e definiti, pronti per differenziarsi nei diversi tipi di tessuto, e poi di organo, che costituiranno il neonato.
In base al loro orientamento spaziale ed alla loro specifica funzione, le diverse cellule svilupperanno sensibilità percettive differenti, legate alla capacità di nutrirsi, come avviene nei tessuti di derivazione endodermica, di proteggersi, come nel mesoderma antico, di rafforzarsi, come nelle ossa e nei muscoli che originano dal mesoderma moderno e di relazionarsi con l’esterno, come nella pelle e nelle strutture ectodermiche, pur mantenendo un unico accordo, una sinergia di crescita con tutte le altre cellule sorelle dell’organismo in formazione, come se fossero pronte a reagire fin dal principio ad una intrinseca consapevolezza di sé, ad un progetto comune ed al proprio ruolo funzionale. Di tutto ciò, tuttavia, il bambino che nasce è completamente ignaro, non ne ha ancora nessuna coscienza, non sa chi è, né chi diventerà.
Un po’ come il raggio di luce bianca che esce con i suoi colori dalla goccia di rugiada, dopo essere stato da lei filtrato, anche il seme della vita che penetra e si sviluppa nel grembo materno, avrà la possibilità di mostrarsi al mondo con tutti i colori di cui è fatto. A suo tempo potrà manifestare tutto il potenziale che l’essere umano racchiude in sé, svelando le sfumature del proprio unico e irripetibile arcobaleno, ma per fare questo dovrà prima farne esperienza, cioè dovrà utilizzare i suoi canali di percezione sensoriale per filtrare gli eventi e le occasioni che gli fornirà l’ambiente, quindi viverle al meglio e consapevolizzare ciò che era già naturalmente predisposto e pronto per essere utilizzato.
La Medicina Biologica Emozionale® identifica il processo di sviluppo del potenziale umano con la formazione del Codice Biologico Emozionale®, che avviene nel periodo di vita compreso tra il concepimento e la maturazione ormonale della pubertà e che definisce quella che sarà la modalità comportamentale esclusiva di ogni individuo adulto.
Lo spazio in cui fare esperienza si apre già nell’ambiente uterino, dove il bimbo comincia a sperimentare il contatto con l’ambiente esterno attraverso la sua simbiosi con la mamma, percependo luci e suoni dal suo ambiente protetto. L’ambiente è tutto ciò con cui interagiamo, che sia un luogo fisico o un elemento astratto come un pensiero o un ricordo, ma è fondamentale riconoscerlo come tale perché è grazie all’ambiente che attiviamo le nostre emozioni primarie e che riceviamo tutte le informazioni che ci servono per crescere.
La nostra biologia ci ha dotato di strutture ultra-specializzate per mediare la nostra relazione con l’ambiente, i recettori sensoriali, che ricevono gli stimoli provenienti dall’esterno e li traducono in impulsi nervosi da inviare ai centri superiori. Abbiamo recettori sensibili alla luce (fotorecettori), alla temperatura (termocettori), alla pressione (pressocettori), alle sostanze chimiche (chemiocettori) e così via. I recettori sensoriali sono veri e propri trasduttori che interpretano le diverse forme di energia recepite dall’ambiente e le traducono nel ‘linguaggio’ del sistema nervoso, fatto dalle variazioni dei potenziali di membrana delle cellule nervose. I cinque sensi (vista, udito, olfatto, gusto e tatto) sono solo una parte del nostro complesso sistema di percezione, che si estende a tutte le cellule del corpo, alle membrane cellulari e subcellulari, coinvolgendo innumerevoli ‘qualità’ sensoriali della cui attività non siamo nemmeno consapevoli.
In tutto questo, nondimeno, gli organi di senso rappresentano le nostre finestre aperte sul mondo. Il bambino che nasce aprirà gli occhi per esplorare ciò che lo circonda, con le orecchie ascolterà le voci e i suoni attorno a lui, annuserà per riconoscere il seno materno e ciò che gli è amico, a suo tempo assaporerà il cibo per vivere nuove esperienze gustative ed userà le mani per toccare e identificare persone e oggetti esterni.
Appena nato, la prima cosa di cui il bambino diventerà consapevole è il fuori, è di essere uscito all’esterno. Sentirà la presenza dell’‘altro’, in primis della propria madre e attraverso di lei prenderà pian piano coscienza del proprio corpo, come di un’entità fisica che fa parte anch’essa dell’ambiente esterno e che veicola gli stimoli che richiamano i suoi bisogni essenziali da soddisfare. Il bisogno di essere nutrito, protetto, accudito e difeso, tutte quelle necessità vitali che il bambino non è in grado di governare in autonomia, ma che vive in totale dipendenza dalla mamma.
In questo modo la consapevolezza che il bambino ha di sé è il riflesso di ciò che gli trasmette la madre. Come il raggio di luce incidente sullo specchio che lo riflette, così pure il bambino riceverà un’immagine di sé costruita in base al riflesso del pensiero che la madre ha di lui e comincerà a costruire il proprio ego. Per tutto il periodo di formazione, cioè fino alla pubertà, egli farà esperienze protette che lo accompagneranno alla fase adulta, e lo farà in modo totalmente passivo rispetto all’ambiente, assorbendo da esso le informazioni che gli servono per soddisfare i suoi bisogni.
La formazione dell’ego, o del primo io-riflesso, è un passaggio indispensabile per la crescita del bambino. Attraverso le esperienze vissute con gli altri lui potrà sentirsi amato, protetto, apprezzato, potrà identificare il proprio corpo, il suo confine, stabilire cosa gli appartiene e cosa no, scegliere con chi condividere il proprio spazio, ma c’è anche la possibilità che possa sentirsi inadeguato, inutile, svalutato, indifeso.
Ricevendo giudizi al posto di sorrisi potrebbe convincersi di essere inferiore, indegno e sentirsi ferito e triste. In entrambi i casi l’interazione con il mondo esterno avrà un effetto sull’individuo, darà forma al suo ego ed egli avrà la sensazione di avere un centro che lo descrive per come è, ma essendo un io-riflesso, questa immagine non sarà la rappresentazione di ciò che egli è veramente, ma piuttosto la sua percezione di quello che gli altri pensano di lui.
È inevitabile che l’ego venga costruito, affinché l’individuo possa dotarsi di tutti gli strumenti che gli serviranno per continuare la sua esperienza fisica nel branco, per interagire e relazionarsi con gli altri manifestando, dopo la pubertà, il suo io-adulto, avendo la possibilità di prendere coscienza del suo vero centro, del suo unico e irripetibile arcobaleno, scaturito dal potenziale che la creazione gli ha dato in dote fin dalla nascita e che è racchiuso all’interno degli elementi del suo esclusivo Codice Biologico Emozionale®.
Nel centro del nostro essere è depositato un segreto, un profondo messaggio espresso con il linguaggio ‘primo’, in un codice universale che la nostra biologia conosce molto bene e di cui le antiche tradizioni mistiche sono simboliche messaggere, giunte a noi attraverso i testi sacri originali e le scritture delle più antiche religioni del mondo.
Ma come non accorgersi che il più sacro di tutti questi libri è senza dubbio il corpo umano, il libro di carne di cui siamo fatti?
Lo studio del codice genetico racchiuso nel nostro DNA, ad esempio, attraverso la ricerca scientifica che indaga il potenziale comunicativo dello strato biologico dei nostri geni, ma anche attraverso la comprensione esoterica che scruta le qualità elettromagnetiche e spirituali degli strati più sottili del DNA, sta realizzando delle scoperte di altissimo livello e riservando sorprese mozzafiato a tutti coloro che, liberata la mente dai dogmi e dalla rigidità dei modelli scientifici prestabiliti, hanno aperto il proprio intendimento a più ampi orizzonti.
Questo ci consente di dichiarare che il corpo umano è programmato per una precisa finalità: fare di noi degli uomini prima e degli dèi poi.
La nostra umanità purtroppo, allo stadio in cui si trova ora, si identifica quasi esclusivamente con l’esteriorità delle cose e non ha nessuna idea di che cosa sia l’interno, non ha coscienza dell’uomo interiore e delle leggi che lo governano, tanto che è abituato a prendere in considerazione solo quegli aspetti della vita che sono visibili e misurabili, a partire dalla nostra salute. La farmacologia moderna, ad esempio, è concentrata sulla ricerca del metodo più efficace e soprattutto più rapido, per rimuovere i sintomi, non tenendo minimamente conto del messaggio di cui il sintomo è portatore. D’altra parte non ne conosce il linguaggio e pertanto difficilmente sarà in grado di decodificarlo.
La conoscenza profonda della biologia delle emozioni e del codice biologico individuale, permette invece di comunicare con il linguaggio nativo del corpo, di leggere il messaggio portato dal sintomo e di individuare gli stati di disallineamento dal proprio equilibrio ottimale. Un sintomo represso non è un sintomo risolto, ma semplicemente un messaggio cancellato e si farà sentire di nuovo, con recidive o manifestazioni su altri organi, proprio quelli che entreranno in risonanza emozionale perché collegati dal medesimo senso biologico.
Produrre sintomi è per il corpo un modo di comunicare che dell’energia viene sprecata, che il potenziale che abbiamo acquisito nel nostro periodo di formazione non viene utilizzato con profitto, che nel passaggio dal nostro ego-bambino all’io-adulto qualcosa non è stato pienamente consapevolizzato.
Alcune tradizioni mistiche chiamano ‘porta degli uomini’ la porta stretta attraverso la quale avviene il passaggio dal primo piano dell’esistenza, in cui l’uomo incontra il mondo esterno, all’essere, inteso come l’incontro con se stesso attraverso la conoscenza esperienziale. Una volta raccolti i frutti, l’uomo busserà alla ‘porta degli dèi’ nell’incontro con il suo nucleo, il suo NOME. La porta degli uomini indica un atto che comporta un superamento, che possiamo individuare nel superamento della non-responsabilità dell’infanzia, nel nascere dell’adolescente alla sua dimensione d’uomo attraverso lo sviluppo simbolico delle prime 10 vertebre (5 sacre e 5 lombari) che sono costruite somaticamente, ma non ancora “fatte”.
Passare la ‘porta degli uomini’ significa anche passare dall’acqua (ed in ebraico significa vapore) al sangue (dam in ebraico) e divenire Adam (uomo). Gli elementi portanti della seconda identità dell’uomo sono i reni, che hanno forma di seme e che sono strettamente connessi agli organi sessuali, dai quali si distinguono solo alla fine delle prime settimane di vita intrauterina. I reni, nel loro ruolo fisiologico di filtro per il sangue, presiedono al passaggio simbolico dall’acqua al sangue. L’acqua viene vissuta nella prima fase dell’Adam, quando egli è un bambino incompiuto ed ancora incosciente di essere, in potenza, il sangue che dà l’identità dell’essere all’adolescente. Biologicamente il passaggio dalla fase di formazione alla fase adulta coincide con lo sviluppo ormonale, che porta alla maturazione sessuale, e da questo momento l’individuo comincerà ad utilizzare attivamente il suo potenziale, consolidando il proprio ‘osso’ (etzem in ebraico, termine che ritroviamo alla radice della parola otzmah, potenza, essenza) che, in quanto parte più solidificata del corpo, contiene, più di tutte le altre, la coscienza del vero ‘io’.
La storia biblica narra che il sesto giorno Dio creò l’uomo sulla Terra, un uomo che pur essendo stato generato a immagine e somiglianza di Dio, non era consapevole della propria identità, incosciente del suo essere profondo, progenitore dell’Umanità, ma appena formato e pertanto bambino, pur se con un potenziale divino. La tradizione mistica ci insegna però che l’uomo è fatto per entrare nel soffio fecondo del settimo giorno, il giorno più sacro nel quale Elohim si riposa, si ritira per non avvilire il cammino dell’uomo e non oscurare il suo progresso, per permettergli di agire attivamente e liberamente, per far crescere nella sua Persona l’immagine divina del Verbo, YHWH (nel cristianesimo il Tetragramma divino viene parafrasato con IO SONO, sebbene il verbo essere al presente non esista in ebraico) utilizzando pienamente il potenziale divino che è in lui, che è ascritto biologicamente e spiritualmente in ogni sua cellula, negli strati più sottili del suo DNA.
Anche biologicamente, quando il bambino entra nella maturità ormonale del suo ‘settimo giorno’, una volta terminato il ‘sesto giorno’ di formazione, il genitore fisico, in sintonia con il Padre spirituale, dovrebbe porsi alla giusta distanza dal figlio, per liberarlo dalla dipendenza genitoriale dell’infanzia e permettergli di spiccare il volo e di manifestare attivamente il suo proprio ruolo di adulto.
In questo momento l’io-ego costruito nel periodo di formazione, entra in risonanza con l’altro ‘io’, il suo vero centro, non un centro riflesso, ma la sua vera e unica essenza, l’immagine divina dell’IO SONO e prende coscienza di essere in un continuo e meraviglioso divenire, come ricorda Giovanni Battista nel Nuovo Testamento parlando di Gesù: “Bisogna che egli cresca e che io diminuisca” (Giovanni 3, 30), ad esprimere la necessità che il primo ‘io’ bambino, simbolicamente egli stesso, una volta concluso il suo compito, si ritragga per lasciare il posto all’io nuovo, all’IO SONO che racchiude in sé il potenziale divino.
Mischiare la biologia con la mistica potrebbe sembrare a qualcuno una insolita e singolare forzatura, ma qui partiamo dalla convinzione che la rivelazione mistica sia la massima espressione del progetto divino, un progetto olistico che include tutti i piani dell’essere, da quello più materiale fino alla spiritualità in senso ‘pneumatico’. In questo contesto la biologia umana è una delle componenti del Progetto, ma soprattutto è l’incarnazione dei suoi archetipi, cioè dei modelli primordiali della creazione.
L’universo simbolico contenuto nel corpo umano ha una ricchezza inimmaginabile, che purtroppo è stata totalmente persa nel nostro tempo. È impressionante come il simbolo possa esprimere in modo del tutto analogico la qualità reale di ogni cosa.
Il simbolo è una dimensione dinamica che libera l’esistenza dai vincoli della staticità di una forma o di un fatto storico, reale o leggendario che sia. Anche il mito è fatto di cose viventi e racconta l’interiorità partendo dall’esteriore, avendo il potere di non limitare la verità ad una fotografia istantanea bidimensionale, ma di permetterle di spaziare nei contenuti analogici multidimensionali dei suoi archetipi, come il corpo umano, appunto, che nella sua forma materiale può esprimere simbolicamente dei significati molto più ampi della mera funzione biologica dei suoi organi e tessuti, fornendo chiavi di lettura e di decodificazione, in quanto connessi intimamente al progetto divino.
Passata la ‘porta degli uomini’ l’individuo è divenuto Adam, che significa letteralmente ‘uomo’. Il nome è composto dalla lettera Alef, che indica il divino Elohim e dam, nel sangue, pertanto Adam è ‘Elohim nel sangue’.
Molte scritture dell’Antico Testamento, dalla Genesi, al Levitico, al Deuteronomio, identificano il sangue con il ‘soffio divino’, l’elemento che fa pulsare l’energia vitale nel corpo intero. In effetti, alcune cellule del sangue, i globuli rossi, hanno l’importantissima funzione di trasportare l’ossigeno a tutti i tessuti del corpo, ma cosa concede al globulo rosso la sua energia pulsante? Nella visione mistica questo potere misterioso gli viene attribuito nell’impercettibile istante compreso tra l’espirazione del padre Elohim, che elargisce il suo soffio, e l’inspirazione dell’uomo, che riceve la vita. In quell’istante Elohim si ritira affinché l’opera della sua creazione, riempita della forza spirituale del suo Nome, possa spiccare autonomamente il volo nel viaggio della vita, in sintonia con ciò che avviene nel settimo giorno poco fa citato.
Se analizziamo questo passaggio da un punto di vista più biologico, dobbiamo considerare che l’eritropoiesi, cioè il processo di formazione dei globuli rossi, avviene nelle primissime settimane di gestazione a livello del sacco vitellino e poi del fegato, mentre a partire dal quinto mese si verifica in modo predominante nel midollo osseo (che rappresenta per i cinesi l’essenza, o la quintessenza, cioè la perennità e il ritorno all’UNO), che resterà l’unica sede della genesi degli eritrociti nell’adulto. Le cellule precursori dei globuli rossi, per diventare tali, cioè per essere sangue a tutti gli effetti, subiscono una serie di trasformazioni morfologiche, in un tempo di circa 5-6 giorni, che le porteranno, alla fine del processo, ad assumere le caratteristiche tipiche delle cellule del sangue mature, prima fra tutte l’essere prive di nucleo. Questa trasformazione così peculiare avviene proprio alla fine di questo percorso. Dopo il ‘periodo di formazione’ del globulo rosso, al settimo giorno il nucleo viene espulso dalla cellula e fagocitato da cellule specializzate che avvolgono gli eritroblasti, mentre la cellula matura e senza nucleo viene spinta nel flusso ematico per circolare in tutto il corpo.
La genesi dell’eritrocita è simbolicamente il percorso di crescita dell’uomo, inscritto nelle sue respirazioni, archetipo del soffio vitale. Il globulo rosso immaturo, ancora nucleato, ossia la yud י nel sangue, dam דם , è il luogo del riposo e del silenzio, in ebraico damì דמי , da cui l’Alef א di Elohim si è allontanata. Il globulo rosso completa la sua maturazione nell’attimo in cui viene espirato e perde, il suo nucleo, la Alef א, e il sangue diventa A-dam אדם , l’uomo nella sua piena identità. La fase inspiratoria dell’uomo è la presa di coscienza delle energie del suo io profondo, del potenziale da utilizzare in modo attivo e autonomo.
Questo ciclo respiratorio bifasico richiama anche l’archetipo della ‘pompa’ del cuore, con le sue sistoli e le sue diastoli, attivata, nella sua funzione di sorgente della spinta vitale, proprio dal sangue.
Seguendo ancora per un attimo questa linea di ragionamento, scopriamo come anche altri elementi corpuscolati del sangue, i globuli bianchi, giocano un ruolo di prim’ordine nel passaggio dalla fase del primo io-ego, necessario al bambino prepubere per la sua formazione, alla fase del secondo io-profondo, propria dell’individuo sessualmente maturo che entra di fatto nella vita adulta.
La funzione principale dei globuli bianchi (leucociti) è quella di preservare l’integrità biologica dell’organismo attraverso i meccanismi di difesa previsti dal nostro sistema immunitario, il cui ruolo è appunto di conferire immunocompetenza all’organismo. Questo significa istruire i vari organi e tessuti linfatici, come la milza, i linfonodi e il timo, che costituiscono il sistema immunitario, a sviluppare una propria identità e a riconoscere il self (in pratica le strutture endogene o esogene che non costituiscono un pericolo per l’organismo e che vanno preservate) dal non self (le strutture endogene o esogene che si dimostrano nocive e che devono essere eliminate) per rendere così più efficace la risposta alle aggressioni e prevenire l’autoimmunità, che esprime sostanzialmente l’autodistruzione.
La capacità di riconoscere ciò che è dannoso da ciò che non lo è, l’ ‘io’ dal ‘non-io’, avviene biologicamente grazie ad un complesso sistema di difesa, o meglio, di ricognizione di segnali specifici, che consiste in una immunità innata, evolutivamente più antica e sostanzialmente aspecifica perché priva di memoria dei contatti molecolari che l’organismo ha nel corso della vita, ed una immunità specifica o adattativa, evolutivamente più recente, che richiede che i linfociti, una particolare popolazione cellulare di leucociti, vengano istruiti per riconoscere ogni specifico segnale, o antigene, con cui vengono in contatto ed acquisire le competenze per annullarne l’azione, competenze che resteranno poi nella memoria immunitaria.
Nonostante le cellule dell’immunità innata siano molto diverse dai linfociti dell’immunità adattativa, è stato scoperto che entrambe, per poter svolgere la loro attività, debbano essere innescate da specifici segnali molecolari, che vengono captati dai recettori di membrana delle cellule immunitarie ed attivano così la cascata di reazioni. Questi segnali sono i peptidi, le unità proteiche elementari che costituiscono l’antigene, cioè l’estraneo, i quali non sono altro che l’espressione molecolare delle nostre emozioni (per la trattazione di questo specifico argomento rimando al mio articolo “Tu chiamale se vuoi emozioni”.
È in questo complesso sistema, per molti aspetti ancora poco conosciuto dalla scienza ufficiale, che si gioca la sottile differenza tra il riconoscere, in ciò che non è utile all’organismo perché pericoloso, un avversario piuttosto che un nemico. Come avviene questo riconoscimento?
L’antigene percepito come ‘avversario’ si presenta ai recettori di superficie degli anticorpi o delle cellule T con un contenuto emozionale di lotta finalizzata ad un preciso scopo biologico, trovare una soluzione utile a preservare la vita. In questo caso avviene un riconoscimento tra omologhi, in una modalità che potrebbe essere paragonata all’incastro tra una chiave e la sua serratura, quindi con un processo di complementarità nel quale uno esiste in funzione dell’altro. L’avversario, sconfitto, verrà assimilato per fagocitosi, assorbito dal globulo bianco nel pieno espletamento del suo ruolo biologico. Questa immagine richiama, per assonanza emozionale, le prerogative morali e spirituali dei combattimenti tra i ‘cavalieri templari’, in cui vige il rispetto per l’avversario che si combatte, la dignità delle proprie differenze e della diversa concezione nel perseguire i propri obiettivi, dove nessuno mostra interesse all’eliminazione, l’annullamento dell’altro, ma solo alla sua sconfitta.
L’antigene percepito come ‘nemico’, può indurre invece il sistema immunitario ad una risposta abnorme, prolungata o diretta contro propri autoantigeni, provocando danni tissutali o malattie. Qui abbiamo vere e proprie azioni di lotta estremizzate, come reazioni anafilattiche, tra cui allergie alimentari, riniti, asma, orticaria, dermatiti, reazioni citotossiche che ledono la membrana cellulare fino alla morte della cellula, come nelle anemie emolitiche, formazione di immunocomplessi circolanti che possono creare infiammazione e danneggiare i tessuti a livello dei vasi sanguigni o dei glomeruli renali, manifestazioni autoimmuni verso i costituenti propri del self, malattie immunoproliferative, immunodeficienze, rigetto, tutte espressioni di un alterato significato della lotta. Qui siamo di fronte ad un impulso distruttivo, all’esasperazione della lotta a causa di una errata percezione della realtà. Non ci sentiamo all’altezza dell’avversario, oppure combattiamo alla cieca contro qualcosa o qualcuno che non siamo in grado di riconoscere e magari biologicamente ci appartiene, o ancora inneschiamo un attacco di sfida anziché di lotta, come il bambino che provoca perché ha bisogno di superare il proprio limite per crescere, cosa che nell’adulto non è assolutamente necessaria e tantomeno utile.
In tutte queste situazioni è evidente l’incapacità di percepire e riconoscere la qualità della vera lotta.
In questo contesto il globulo bianco è l’istruttore per eccellenza nel dosare l’aggressività verso l’antigene e quindi nell’educare e modellare il primo ‘io’ del bambino mentre sperimenta il contatto con il ‘non-io’ e l’opposizione a esso, per far emergere la sua seconda identità e iniziarlo alla vera qualità della lotta, una lotta che dovrebbe portarlo ad acquisire un adeguato potere immunitario ed, insieme, la sua vera identità, senza spingerlo verso un rapporto di forza in cui la lotta è ‘combattere contro’, in una logica di distruzione e, spesso, di autodistruzione.
A questo proposito vale la pena fare una riflessione riguardo la prassi consolidata della nostra società di eseguire le vaccinazioni obbligatorie nella primissima infanzia, in un periodo in cui il bambino, non avendo ancora acquisito le strutture immunitarie, né fatto l’adeguata esperienza di contrasto, è ancora incapace di riconoscere il non-io. Lo stesso discorso vale per l’uso esteso di antibiotici nel bambino piccolo, nel tentativo di metterlo al riparo da tutti gli attacchi microbici, che in realtà mette a repentaglio l’apprendimento del suo potere immunitario e indebolisce l’io, che potrebbe non essere più in grado di riconoscere in se stesso la seconda identità e farsi sostituire da essa.
La transizione al settimo giorno, nella simbologia mistica riguardante il globulo bianco, è precorsa dall’aver acquisito la capacità di lottare con l’avversario esterno, nella consapevolezza di manifestare tramite esso l’antagonista interiore, ovvero il potenziale energetico che permette di esprimere la lotta nel suo pieno significato biologico, come dovrebbe avvenire nella fase adulta della vita dell’uomo.
Se questo passaggio non viene consapevolizzato e l’uomo rimane ancorato al suo io infantile, continuerà a lottare contro un nemico, schierando delle armi improprie per annullare l’estraneo biologico, senza però comprendere che queste potranno facilmente ritorcersi contro di lui.
L’uomo adulto che non utilizza queste energie potenziali nel passaggio dall’ego bambino alla sua seconda identità, si ritroverà a lottare contro qualcosa che crede reale, ma che è inesistente nel presente, in quanto proiezione del suo passato nel quale rimane imprigionato. Questo sarà fonte di grande sofferenza emotiva e generatore di malattia, di sintomi psichici e fisici quali espressione di un’energia che rimane bloccata o che viene male utilizzata.
Ma l’uomo ha in sé tutti gli strumenti di guarigione e la libertà di utilizzarli.
Spesso è sufficiente il solo rendersi conto di cosa origina il proprio squilibrio, cosa blocca il fluire della nostra energia costruttiva, per far sì che avvenga un processo di crescita, per vedere il proprio ego “cadere come una foglia secca” per usare le parole di Osho Rajneesh, un maestro spirituale indiano che continua dicendo “Si poserà a terra, morirà per conto suo, senza che tu abbia fatto nulla, senza la pretesa di essere stato tu a farla cadere. Ti accorgerai che l’ego è semplicemente scomparso, e in quel momento emergerà il vero centro. Questo vero centro è l’anima, il sé, Dio, la verità o qualsiasi altro nome gli vogliate dare”.
E così nasce un arcobaleno.
Per informazioni: www.medicinabiologicaemozionale.it
a cura dell’Accademia di Medicina Biologica Emozionale
Dr.ssa Rita Belforti – Comitato scientifico MBE
Scarica il file in pdf – Biologia nei testi sacri, di R. Belforti